.: Il Vulcano e la Nocciola - per la fiducia in se stessi :.


Lumos!


Tanti anni fa, quando i vascelli solcavano i mari, le foreste mostravano i loro colori brillanti durante le stagioni calde e imbrunivano durante i rigidi inverni, quando castelli incantati si ergevano imponenti con i loro principi adornati di candide vesti, viveva una pianta di nocciolo con le foglie dalla forma quasi tondeggiante a ridosso di un enorme vulcano.
Il nocciolo era in festa poiché i suoi rami avevano appena germogliato e dato frutti dal guscio scintillante e levigato.
Tra tutti i suoi frutti, però, ve ne era uno abbastanza birichino: si trattava di una nocciolina piccola piccola che, curiosa del paesaggio, lo osservava con occhi vispi, attenti e intelligenti.
Oltre che alle meravigliose foreste e al lago sulla cui superficie erano riflessi tutti i loro colori, notava la presenza imponente di quella montagna rossa dalla cui bocca scaturivano vapori e luci calde. Il Suo nome era “Vulcano”.
Si domandava cosa fosse… “Sarà come me? No, è totalmente diverso da me. E’ così luminoso e vivo!” pensava tra sé.
Sin da quando era venuta al mondo, le era sembrata la cosa più bella che potesse esistere sulla terra. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Viveva le sue giornate ammirandolo, contemplandolo e considerandolo perfetto in tutta la Sua maestosità e grandiosità.
Poiché Egli era sempre dinamico mentre Ella era legata alla presenza stessa dell’albero a cui era unita, iniziò a sentirsi inferiore. Divenne ben presto triste, confusa e demoralizzata: non poteva fare nulla per potersi avvicinare almeno per un istante al Suo innamorato.
Trascorsa l’estate e arrivati ormai nel tardo periodo autunnale a ridosso del gelido inverno era giunto per Lei il momento di andarsene.
Il suo guscio iniziò ad invecchiare. Divenne sempre più debole, debilitata e spossata.
La sua vita ormai giungeva al termine: dal suo involucro liscio e perfetto ora si scorgevano avvallamenti e imperfezioni.
Un giorno Ella non ce la fece più a restare aggrappata all’albero, unica sua fonte di vita, e inesorabilmente cadde.
Con le ultime forze che le rimasero, cercò consolazione nel suo eterno, intoccabile e irraggiungibile amore Vulcano.
Riuscì, tramite l’ausilio del vento, a rotolare fino a spingersi verso uno dei crateri da cui scaturivano quelle luci meravigliose.
Fu un grande errore: non rendendosi conto del pericolo, scivolò dentro ad una delle bocche incandescenti trascinata da un getto di lava, senza lasciare più traccia di se stessa.
La sua vita era finita senza neanche rendersene conto e senza neanche riuscire a esprimere i propri sentimenti verso quella magnifica montagna infuocata.
Il suo sacrificio non aveva lasciato indifferente anche Vulcano, segretamente innamorato da sempre di Nocciola. Anch’egli, tuttavia, si sentiva inferiore: non avrebbe mai potuto avvicinarsi a Lei, così piccola, dolce e fragile.
Per Vulcano Ella rappresentava la vita, le stagioni che rinascono, la natura che germoglia e l’essenza stessa del Creato, mentre Egli era solo causa di distruzione e di disperazione.
Si era reso conto della presenza di Nocciola. Avrebbe voluto urlare a tutti i costi di non avvicinarsi, tuttavia l’unico risultato che ebbe fu quello di creare ancora più lava, trascinandola dritta fino alla morte.
Vulcano era distrutto dal dolore. La sua vita non aveva più senso ormai.
Man mano non eruttò più e non creò più bagliori accecanti: si lasciò lentamente trasportare fino alla morte e, dopo l’ultimo sbuffo dal suo cratere, si spense.

Epilogo
La storia non è finita qui: dove esistono i veri sentimenti agiscono le anime pure e piene di Grazia.
Dopo la morte di Vulcano, si aprì il cielo e da esso discese un angelo splendente e puro. Egli prese i due cuori, quello di Vulcano e quello di Nocciola, e li condusse insieme nell’Alto dei Cieli.
Ora erano uguali e allo stesso tempo si erano resi conto di non essere mai stati diversi: i loro spiriti erano identici e si fondevano l’un l’altro. Vedevano insieme gli astri e allo stesso tempo anche loro stessi erano gli astri, osservavano i mari e loro stessi erano i mari: erano il Creato e contemporaneamente non lo erano, in un equilibrio divino a dir poco perfetto.
L’epilogo della storia è questo: non importa quanto si sia diversi, non occorre sentirsi inferiori e non vale la pena creare confronti che comportino solo ad allontanarsi dal prossimo.
Siamo tutti uguali, abbiamo tutti la stessa essenza e siamo tutti in perfetta armonia con gli altri e con l’Universo.
Non lasciatevi intimorire dalle diversità: esse devono essere un mezzo per imparare cose nuove e accrescere se stessi.
Un ultimo consiglio: le diversità sono frutto di novità per l’individuo che le reputa tali e allo stesso tempo nascono dalla cultura e dalle esperienze dell’individuo che le dona. Accettate l’insegnamento degli altri e regalate il Vostro sapere.
Non abbiate paura di mostrare Voi stessi e, se anche qualcuno Vi critica, andate avanti per la Vostra strada, rispettando l’idea di chi vi ha criticato: difatti anche questo fa parte delle diversità.
Vi auguro una buona notte e Vi spingo a non nasconderVi dalla vita, in quanto è essa stessa che Vi ha voluto così per apportare qualcosa di meraviglioso nell’Universo e non avrebbe senso rinnegarlo o vergognarsi. FidateVi sempre di Voi stessi e non siate timidi nel dimostrare ciò che siete e ciò che valete.

Nox!

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